Lo stemma riproduce l'emblema araldico della Città: "D'azzurro alla torre quadrata, aperta e finestrata del campo, al naturale, a due palchi merlati alla ghibellina, rispettivamente di nove e di sette pezzi, con l'inferiore munito ad ogni angolo di garitta; la torre fondata su un monte di tre cime di verde, e sostenente un'aquila, coronata d'oro, al volo spiegato, e colla testa rivoltata, di nero, cucita". Art.3, comma 2 dello Statuto Comunale

L’ARALDICA

L’araldica è la disciplina che studia gli stemmi, la loro storia e la loro composizione, decifrandone gli elementi che vi sono figurati con il fine di comprenderne il significato attraverso la corretta lettura dei suoi componenti.
Lo stemma, difatti, è principalmente formato dallo scudo dove sono mostrate una o più figure,  alle quale si aggiungono, nel caso, alcuni ornamenti esteriori, vale a dire posti al di fuori dello spazio dello stesso scudo, detto specificamente campo. La corona che spesso è collocata al di sopra dello scudo, un motto che lo accompagna, animali figurati ai lati in posizione rampante o ancora elementi vegetali o floreali sono tutti ornamenti esteriori, a titolo di esempio, che perfezionano e completano il messaggio dello stemma, secondo un vocabolario dei segni esatto e di facile comprensione. Lo stemma infatti, la cui origine è con tutta probabilità militare e il cui nome deriva da un parola greca, poi passata nella lingua latina, che significa letteralmente corona, in principio aveva una funzione identificativa, serviva cioè a riconoscere, senza alcun equivoco, di quale clan sociale, di quale gruppo familiare o di quale specifica comunità l’individuo che lo recava e mostrava facesse parte. Era, e ancora è, una evidente dichiarazione di appartenenza e di identità sociale, figurata prima ancora che detta o scritta.

Proprio in ragione del significato e della portata di questo messaggio a partire dal XII secolo vengono stabilite alcune regole alle quali necessariamente devono sottostare tanto le figure che i colori, che sono i due elementi costitutivi di ogni stemma. In questo modo si codifica e disciplina l’uso dei segni e delle specifiche rappresentazioni che assumono pertanto valore simbolico, alludendo a fatti storici o a determinate imprese che vengono pertanto raffigurate, per brevità, attraverso simboli semplici e di immediata comprensione. Lo stemma è quindi un racconto dove le parole sono sostituite da figure, il cui utilizzo e la cui disposizione rispondono a un codice ben preciso che non deve lasciare spazio a interpretazioni. E in questo modo ogni gruppo sociale, sia che si tratti di singole famiglie che di intere città, è in grado di condensare, per così dire, e di mostrare la propria vicenda in uno spazio ridotto, affidando il significato di quel pensiero figurativo a poche ma esplicite immagini che possano essere interpretate e comprese facilmente e senza equivoco, secondo regole prestabilite.

LA VICENDA STORICA

Proprio allo scadere del 1530, il 30 dicembre, Antonio da Carpena detto il Carpenino, giovane e promettente pittore che in città aveva bottega e già riceveva committenze, viene pagato dagli ufficiali della Comunità per aver dipinto uno stendardo, di pubblica utilità. E così ancora a lui, tre anni dopo, nel 1533, si rivolgono nuovamente i rappresentanti del Comune per avere insegne e stemmi dipinti, quando concitatamente si apprestano gli apparati per onorare la venuta in città del papa Clemente VII reduce da Marsiglia dove aveva accompagnato Caterina de’ Medici, sua nipote, che andava sposa a Enrico, delfino di Francia e futuro sovrano di quel regno.
Ma quale era lo stemma della città che il Comune, con insistenza, aveva chiesto a Carpenino? In che segni, in quali simboli la comunità che qui viveva e abitava si riconosceva e, con evidente fierezza, sceglieva di rappresentarsi, comunicando così per segni la propria identità?

La più antica illustrazione superstite dello stemma civico è quella figurata sulla copertina del libro del Consiglio Comunale della Spezia del 1409: è un disegno a penna, quasi sintetico, dove l’ignoto e un po' affrettato autore rappresenta una semplice torre coronata da tre merli e con un’unica, profonda apertura, posta sulla sommità di un piccolo colle. Lo stemma della città è compreso all’interno di uno scudo più grande, posto proprio nella parte inferiore di questo, nella punta, e sormontato da altri tre scudi, di cui i due laterali sono l’arma di Genova, figurata dalla croce rossa in campo argento, e quello centrale l’emblema del Monferrato, a memoria del brevissimo governo genovese del Marchese di Monferrato, appunto, conclusosi nel 1413. Nell’arma spezzina la torre, che già era nello stemma di Carpena, frazione collinare oggi nel comune di Riccò del Golfo dalla quale la Spezia dipendeva fino alla metà del XIV secolo e con la quale stringe poi una duratura quanto tenace alleanza, è accompagnata dalle lettere S. e P., scritte in evidenza, rispettivamente alla sinistra e alla destra della torre, forse con eccessiva semplicità interpretate come le iniziali del nome della città, privato dell’articolo.
Ma, in realtà, sembra più probabile che il riferimento sia al Popolo spezzino, in latino lo Spediensis Populus o, addirittura, la permanenza di un vago sentore, quasi un’eco di romanità, a dire il Senato e il Popolo, proprio alla maniera antica.

Di alcuni decenni successivo, datato al 1489, era invece un capitello, oggi perduto ma un tempo conservato nelle Collezioni Civiche, dove era giunto dopo alterne vicende: qui, su una delle quattro facce, era scolpito a rilievo uno scudo a forma di mandorla dove era rappresentato lo stemma della Spezia, contrapposto a quello di Genova, scudo nel quale compariva nuovamente la torre merlata, questa volta a due piani, sormontata dall'aquila con le ali spiegate e, ancora, le lettere S e P ai lati della massiccia fortificazione. In origine questo capitello era sorretto da una colonna posta in prossimità dell’antico palazzo comunale, grosso modo dove oggi si apre piazza Beverini, in direzione di via Prione, in una posizione elevata, in quanto proprio in quell'anno, il 1489, erano stati deliberati e quindi portati a termine i lavori di rifacimento della piazza che era stata rialzata rispetto al piano delle vie che lì convergevano: la colonna e il suo capitello altro non erano che la memoria solida e ben visibile dell'intervento di elevazione di questo spazio pubblico, cinto di scalini per raggiungerne con facilità il piano di calpestio. In seguito, poi, a coronamento del capitello era stata posta una sculturina raffigurante San Rocco, probabilmente lì messa nel 1568 come materiale e concreto segno di riconoscenza per una scampata pestilenza che in quegli anni flagellava la città e il golfo, in quanto proprio Rocco, insieme a Sebastiano, è il santo che per tradizione è invocato come protettore dalla peste. Purtroppo, come si diceva, questo significativo monumento, che per consuetudine e semplicità era chiamato la colonna di San Rocco, non esiste più, ma se ne conservano l'immagine fotografica, che nel particolare restituisce proprio lo stemma spezzino, e un dipinto di Agostino Fossati che mostra come fossero piazza e colonna nei decenni immediatamente successivi la metà del XIX secolo, prima che alterazioni e distruzioni ne cancellassero per sempre l'esistenza.

Tra i reperti ancora oggi compresi nel lapidario civico è però conservato un capitello in marmo di notevoli dimensioni che presenta l’echino decorato da larghe foglie d’acqua, raccordato tramite collarino all’abaco, fortemente ribassato. Nella parte anteriore, su una delle foglie, è presente lo stemma della città iscritto in uno spazio ovale e compreso all’interno di uno scudo a otto cuspidi. Per brevità di scrittura mancano i colli a reggere la torre, che è a due piani e sovrastata dall’aquila, e al di sopra, sull’abaco, è incisa un’iscrizione che, per esteso, dice COMUNITAS/SPEDIAE. Questo capitello parrebbe databile alla meta del Quattrocento, per tipologia e, anche, per stringente analogia con i capitelli del chiostro del convento di san Francesco detto il Grande, oggi all'interno dell'Arsenale Militare, convento fondato nel 1458. Pur dunque distante da quello della colonna di San Rocco negli elementi compositivi e nello stile, e pare a questo vicino al contrario per cronologia, se non modello da cui desumere proprio lo stemma civico. In realtà parte della critica sembra concorde nel posticiparne la datazione, riconoscendo in questo capitello l’ex-voto posto nel 1578 di fronte alla chiesa di Nostra Signora della Scorza per volere della cittadinanza, occasione nella quale venne eretta una colonna da parte della comunità in coppia con un’altra del tutto analoga, questa però voluta – e finanziata- singolarmente da Gaspare Biassa.

Un'ulteriore testimonianza dell'affermazione e della trascrizione corretta dei contenuti dello stemma civico è il bassorilievo marmoreo già posto sulla Porta del Carmine delle mura cittadine e oggi posto sul palazzo comunale, datato da un'iscrizione lì incisa al 1562: rappresenta le tre cime, la torre merlata, l’aquila coronata e, in capo, lo stemma di Genova. Le lettere poste al fianco della torre divengono C.S., ovvero Civitas Spediae oppure ancora Comunitas Spediae, dicitura questa più probabile per analogia con quanto scritto nel capitello di cui si è appena detto. L’insegna civica, pur di non grandi dimensioni, è inserita in un elegante cartiglio dall’elaborate volute ed è la più esatta rappresentazione dello stemma così come lo conosciamo oggi, definita nell’uso e nella disposizione dei suoi elementi costitutivi: i tre colli, o meglio ancora il monte a tre cime, la torre a due palchi, vale a dire formata da due corpi sovrapposti, di cui l’inferiore maggiore a reggere il superiore, e l’aquila in volo coronata e con il capo voltato. In particolare l’aquila è presentata nascente rivolta, vale a dire, in termini araldici, figurata in uscita dalla torre a metà corpo, a dimostrarne in certo modo il moto e la vitalità, con la testa girata a sinistra, corrispondente alla destra per chi guarda. La perizia esecutiva con cui è realizzato il rilievo restituisce, peraltro, i particolari edilizi della breve fortificazione, composta di pietre ben squadrate e ordinate, con blocchi più grandi ai lati e disposti secondo il modulo dell’orditura incrociata, piattabanda a decoro dell’apertura, beccatelli a reggere i due parapetti coronati entrambi da merli detti alla ghibellina, vale a dire terminanti ognuno a coda di rondine. Il fatto, inoltre, che tale stemma fosse in origine collocato sul baluardo della Porta della Madonna del Carmine, detta più semplicemente del Carmine o anche del Pallone, porta che costituiva l’accesso alla città per chi veniva da occidente, verso mare, e che si apriva dove oggi via Colombo incrocia via Sapri, permette di intuire che fosse il “biglietto da visita”, per cosi dire, della Spezia, della sua comunità, della sua gente. È probabile, anzi, che questo non fosse l’unico emblema civico presente in tale posizione ma che al contrario ognuna delle porte che immettevano all’interno delle mura potesse recare un’insegna simile. La presenza inoltre dell’arma genovese posta ad occupare lo spazio superiore dell’ovale nel quale è iscritto lo stemma spezzino fa comprendere che l’uso del blasone, reso ben evidente dalla collocazione originale, è un vero e proprio privilegio concesso da Genova, con il valore giuridico di un’”edizione ufficiale” approvata dall’autorità.

Proprio in apertura del liber primus ex tribus di Spediae Iura, vale a dire nel primo volume dei tre volumi che raccolgono le leggi e i regolamenti della comunità spezzina per gli anni compresi tra il 1343 e il 1600 conservato nell’Archivio Storico Comunale presso la Biblioteca Civica “Ubaldo Mazzini”, è posta una pagina elegantemente decorata, e qui, in basso al centro dell’elaborata cornice che corre lungo i bordi, è presente uno stemma a stampo che reca la dicitura Civitas Spediae. Sempre nella stessa antologia, in chiusura, è vergata un’annotazione che si riferisce all’integrità, alla completezza del volume, apposta il 21 agosto 1841: anche in questo caso un timbro e la firma del sindaco, che si fa garante per la comunità, accredita e ufficializza, per così dire, il conteggio delle pagine che compongono la raccolta,  ma, a differenza di quanto presentato in apertura, la scritta che accompagna lo stemma è città di Spezia.

A metà del XVI secolo pertanto lo stemma civico era completo e presentava tutti gli elementi distintivi, confermati poi dagli usi successivi e correttamente disposti in base proprio alle norme “linguistiche” ormai consolidate. Ma quando nel 1893, con Regio Decreto promulgato il 23 febbraio, lo stemma della Spezia viene approvato per la prima volta e in maniera ufficiale, si stabilisce che la torre sorga “da un mare di argento fluttuoso di azzurro”, e non, come è corretto e storicamente documentato, dal monte di tre cime. Inoltre la torre è chiusa e “finestrata di nero”, e ancora è previsto un cimiero sovrapposto e fuoriuscente dalla corona che sovrasta l’aquila. Per questi motivi, che rivelavano lampanti inesattezze, lo stemma così composto non è stato mai adottato dal Comune e già nel 1902 l’Amministrazione chiedeva una rettifica che restituisse la verità dei singoli componenti, correttamente disposti. Rimasta inascoltata per altre e diverse ragioni, la questione venne nuovamente sollecitata da Ubaldo Mazzini, tra i numi tutelari della nostra terra, che nel 1922 esortò l’Amministrazione Comunale a chiedere di rettificare tali macroscopiche imprecisioni, fin tanto che un anno dopo, il 4 dicembre del 1923, lo stemma veniva ufficialmente approvato con diploma così come ancora oggi è stabilito nello Statuto Comunale.

I COMPONENTI DELLO STEMMA SPEZZINO E IL LORO SIGNIFICATO

Come si diceva al principio, ogni stemma è composto dallo scudo, vale a dire l’elemento principale che contiene figure e colori, così chiamato proprio perché ripete la sagoma di uno scudo militare, e da alcuni ornamenti esteriori, che possono essere presenti o meno, a rafforzare, nel caso ci siano, il significato dei simboli raffigurati all’interno dello scudo.
Abbiamo visto che lo stemma spezzino presenta alcuni elementi ben precisi che nel tempo si modificano nella forma e nella dimensione, ma che compaiono sempre, proprio perchè individuati come distintivi della storia e del senso di identità di questa comunità. Lo Statuto comunale infatti specifica bene tali componenti, compresi nello scudo: sono la “torre quadrata, aperta e finestrata” “a due palchi merlati alla ghibellina, […] fondata su un monte di tre cime […] sostenente un'aquila, coronata d'oro, al volo spiegato, e colla testa rivoltata”. Al di fuori dello scudo sono poi figurate due fronde legate, incrociate in basso, e al di sopra, nella parte superiore, è posta un’elaborata corona merlata.
Il monte, la torre e l’aquila sono dunque i tre componenti fondamentali dello scudo, e la corona e le fronde sono gli ornamenti esteriori. Vediamone allora il loro significato, decifrando quale messaggio La Spezia, i suoi uomini e le sue donne, abbiano voluto comunicare attraverso questi segni.
Partendo dal basso ecco i tre colli, o meglio il monte desinente in tre cime. Il monte è la base, il sostegno su cui posa la torre, e in origine, forse per velocità di scrittura, era semplice, raffigurato con un’unica vetta. Il monte rappresenta, per sintesi, il territorio “governato”, il possedimento su cui viene esercitato il diritto di autorità e di guida da parte di chi detiene lo scudo. È facile pensare che la geografia collinare caratteristica del nostro luogo abbia suggerito la descrizione montagnosa presente nello stemma, e che la torre, derivata con ogni probabilità dall’insegna di Carpena dove era già in precedenza presente, come si è visto, sia un indizio ancora più evidente delle opere fortificate del territorio, effettivamente presenti a fini difensivi. Una roccaforte esisteva già almeno nella prima metà del XIII secolo dove è oggi il castello che chiamiamo di San Giorgio e almeno a partire dalla metà del Trecento la città risulta dotata di mura a protezione, come dimostrano gli accordi intrapresi l’8 giugno del 1361 tra gli uomini della Spezia e quelli di Carpena in merito agli oneri per la costruzione proprio della solida cortina muraria.

Ma la torre figurata sullo stemma spezzino è una torre speciale, come recita lo statuto: è infatti “quadrata, aperta e finestrata del campo, al naturale, a due palchi merlati alla ghibellina, rispettivamente di nove e di sette pezzi, con l'inferiore munito ad ogni angolo di garitta”. Cosa significa tutto questo? Innanzitutto che la torre è formata da corpi sovrapposti, come si è già notato nello stemma del 1562, a partire dalla struttura di base, aperta da un’unica porta, che termina in una specie di terrazzamento retto da beccatelli e coronato da sette merli di fattura ghibellina. Ai lati sono due garitte, una per angolo, e oltre un corpo murario più tozzo, doppiamente finestrato, che si conclude con un “palco”, in araldica sinonimo di piano, nuovamente merlato, questa volta di nove elementi. Da qui emerge l’aquila.
L’aquila è simbolo di potere e sovranità, di autorità e supremazia, noto e utilizzato con tale significato fin dall’antichità classica. L’araldica si appropria di questo simbolo e ne regolamenta l’uso: l’aquila con le ali abbassate, come ad esempio nello stemma della famiglia d’Este, è indizio di prudenza, mentre in volo sta a significare slancio sublime. Nello stemma della Spezia, in particolare, l’aquila è rappresentata frontale, con la testa rivolta a destra, con le ali aperte e le penne spiegate, secondo la tipologia rappresentativa che viene detta al volo spiegato.

Oltre lo scudo, si diceva, sono poi gli ornamenti esteriori. La corona, così come raffigurata, dorata e con cinque torri, sta a significare che la Spezia è insignita del titolo di città. Esistono infatti, per legge, tre tipi di corona che possono essere utilizzati negli stemmi concessidallo Stato, indicando, in base alla forma e alle caratteristiche con cui sono raffigurate, di quale ente si tratti: Provincia, Comune o Città. Il tipo presente nello stemma spezzino può essere utilizzato solo dai Comuni che abbiano acquisito il titolo di città e il modo di rappresentare la corona, detta muraria o anche turrita, è memoria della grande onorificenza che spettava a chi per primo scalasse le mura di una fortificazione posta sotto assedio. In Italia solo le città che vedano legalmente riconosciuto con apposito decreto il proprio status possono utilizzare ufficialmente tale titolo, acquisito nel tempo per meriti e importanza e concesso dal Presidente della Repubblica “ai comuni insigni per ricordi, monumenti storici e per l’attuale importanza”. In Liguria le città ufficialmente riconosciute sono ventitre e in provincia della Spezia, oltre al capoluogo, solo Lerici e Sarzana si possono fregiare di tale titolo.
Le fronde, infine, che devono essere legate in basso con un nastro tricolorato con i colori nazionali, rappresentano un ramo di alloro, a destra, e uno di quercia, a sinistra. L’alloro è considerato da sempre pianta nobilissima, attributo di sovrani, poeti, trionfatori dei giochi olimpici, ai quali veniva posta sul capo proprio una corona intrecciata di ramoscelli di alloro. La quercia è simbolo di potenza e vigore, non solo segno di potenza fisica, ma anche di solido temperamento morale: insieme all’alloro raffigura pertanto le virtù della comunità cui lo stemma è riferito, dimostrando così valore, forza intesa come tenacia, virtù.